domenica 14 dicembre 2008

Aotearoa





Aotearoa, in maori significa land of the long white cloud, e spesso devo dire che e' vero.

Si stagliano libere fra i piu' blu dei cieli, lunghe, lunghissime, quasi ad essere una sorta di naturale tetto, un riparo alla vista dei' piu', uno scrigno in cui custodire un tesoro, a preservare i paesaggi da fiaba sottostanti che la natura ha creato in questa parte di mondo.

Difficile da descriver quello che ho potuto vedere in questi primi 35 giorni attraverso l'isola del sud, girata in lungo e in largo e, va da se, in diagonale.

Spostandosi con un bus giusto un paio di volte, diverse altre con pollice al cielo e passaggi occasionali, il resto del tempo a piedi.
Soffermandosi ogniqualvolta a riprendere un po' di fiato, ed a restarne invece completamente senza, rapito persino il respiro da quanto mi si poneva in fronte agli occhi.
Alcuni angoli sono forse addirittura troppo belli, tali da sembrare non reali, quasi a spaventare per una sensazione d'isolamento, neanche fosse un altro pianeta.
O un' altra epoca.
Sono arrivato nella citta' che e' chiesa di Dio, Christchurch, giusto il tempo di una passeggiata in centro, rievocare memorie di Hobart e della Tasmania in generale, questo il profumo nell'aria, aria fresca, frizzante, e tanto, tantissimo verde.
Ordinata, pulita, variopinta, e con un cielo stellare.
Ci sarei comunque tornato, cosi l'indomani, in controtendenza sanguigna, mi spostai verso nord.
Ritrovando la nebbia presto al mattino, diradante al crescere del sole ed alle distese, che dalla' citta' divenivano sempre piu' ampie.
Giunsi a Kaikoura, e fu il primo di una serie di shock emozionali.


Il mare, la spiaggia, sassi , ciotoli e conchiglie, acque che solo a guardarle ti mettono freddo, che arrivano direttamente dai ghiacci del polo sud, mitigate solo un po' in una corsa di quasi 5000 km, e fin qui tutto normale, niente di veramente straordinario se non fosse per quella catena di monti che le sorge proprio dirimpetto, cime perennemente innevate che raggiungono l'oltre 2600 metri, incredibilmente cosi a ridosso della costa.
Uno scorcio di paradiso non solo ambientalistico, ma soprattutto faunistico, essendone le acque gremite di foche, pinguini, leoni marini, delfini, squali, aragoste, mante, balene, ed una infinita' di altri pesci, scusate l'incompetenza ittica, e un cielo che abbonda di pennuti tavolta unici, talvolta magnifici.
Mi ritrovai ad osservare degli albatros, immensi nel loro ampio volo, e mi ritrovai, come capitera' spesso, a tornare indietro con la memoria, al primo anno all' universita', quando d'improvviso prendevo congedo dagli amici, che si fosse in piazza, al bar, a casa di qualcuno o a casa mia, fra i sorrisi forse di stupore ma mai di scherno, e correre a vedere ed ascoltare quella che e' stata anche l'ultima trasmissione che ho visto in tv, quell'Alcatraz di Jack Folla/Diego Cugia, che tanto mi ha detto e tanto mi ha dato e col quale ho viaggiato tanto e forse anche di piu', con la fantasia, su quegli spezzoni, lanciati cosi spesso, di Albatros in volo sugli oceani per migliaia e migliaia di chilometri.
Ed ora, che quel viaggiare di fantasia era diventato in parte realta', mi ritrovavo ad osservarne il maestoso volo, con un sorriso e senza malizia, rimproverando alle mie braccia: e voi, perche' non mettete piume?
Con animo gioioso e vagabondo continuai controtendenza fino a Nelson, da dove avrei intrapreso l'Abel Tasman costal walk, un tre giorni/52 km attraverso il sali scendi costiero, sempre docile se non fosse per quello zaino caricato mai a meno di 25 chili, oggetto di imprecazione collettiva da parte di ossa, giunture e muscoli tutti.

Ma si sa, da sempre piace far fatica, e per me e' stato un continuo mandare a fanculo ossa, giunture e muscoli tutti, traevo piacere e godimento dal sentire che tutto, per quanto indolenzito, rispondeva e cresceva in me la voglia di tornare in forma, di farli scalpitare ed urlare di voglia, al pari di quanto facevo io al termine di ogni lunga giornata, pronto a quello che sarebbe stato il giorno seguente.

Ho particolarmente apprezzato il paesaggio ma la gestione dell'area, non so, ho percepito forse troppo la sensazione di presenza umana.
E nella natura, troppa presenza umana non sta mai bene.
In questo mi sento davvero egoista.
Un paio di giorni e incrociai il mio cammino con quello di Mike, quello spirito libero che avevo conosciuto quando vivevo a Fremantle, Perth, e col quale era nata un'amicizia in crescendo, interrotta dall'itinerare continuo di chi viaggia, ci si trova, ci si conosce e infine ci si saluta, funziona cosi, non son certo cose che devo spiegare io.
Qualche giorno assieme, tante camminate, tanti discorsi, scambi di impressioni e tante bevute, a culminare sempre in grasse risate dacche' si finiva sempre a parodiare Clemenza, quando ne Il Padrino, spiega a Michael come fare il sugo alle polpette.
Grandioso e grandi interpretazioni.
Arthur' s Pass, ancora la chiesa di Dio, Franz Josef e Fox Glaciers, Wanaka, lake Matheson e Queenstown, dove al termine di una nottata che ricordero' come una delle piu' freak della mia vita , ci siamo salutati, un arrivederci, forse in europa, di sicuro alle falde del Kilimanjaro, per un' altra camminata, altri discorsi, e chissa', forse altre parodie.
E cosi di nuovo in solitaria, di nuovo in marcia, attraverso il Routebourn track, tre giorni in altura attraverso vallate, cascate, laghi e montagne, finendo a bagnarsi nelle acque che scendon dai ghiacciai, a trovare sollievo e rinfresco, coraggioso ilprimo tuffo, accompagnato da un urlo viscerale che fredda e' l'acqua, giusto una ventina di secondi prima che la pelle inizi a bruciare per la temperatura troppo fredda, ma quanto basta per sentirsi rinascere e sentirsi piu' svegli che mai.

Ossa, giunture e muscoli tutti non parlavano gia' piu'.

E poi via, in strada , verso i Fiordi, Milford sound, perennemente sotto la pioggia ed un cielo grigio, cupo, che pero' ben si sposava con lo scenario d'intorno.Sembrava quasi di essere alla fine del mondo, o per lo meno alla fine di uno di questi, queste lingue d'acqua fra le montagne a strapiombo sul mare, a farsi strada fino ad incontrare la vastita' degli oceani, fra venti forti e impetuosi a batterne le naturali insenature.



E quasi sospinto dal vento, via , verso sud, contro le ostilita' atmosferiche, a complicarmi un po' i piani ed a farmi rinunciare a qualche bel trekking, ripiegando sull'ennesimo autostop lungo la costa meridionale, giungendo fino al punto piu' a sud dell'isola del sud, che piu' lontani da casa davvero non si puo'.
E poi verso Aoraki, il parco nazionale del Mount Cook, cuore delle alpi del sud.


Verso le alpi del sud



Ramponi , picozza e via, la su quei monti, dove la neve e' perenne e dove l'uomo e' idealmente piu' vicino a Dio, quasi in meditazione durante l'ascesa, in concentrazione, piegato talvolta dalla furia dei venti e distratto solamente, ma non di rado dal fragore delle innumerevoli valanghe che si avvicendavano fra le montagne, osservandone di qualcuna il moto, immortalandone di qualcuna l'istante.

Fragorosissima; grossa valanga sul versante sud est del mount Sefton
La vista di lassu' e impressionante, qualcuno ha detto che non sono le vette che conquistiamo, ma noi stessi, e credo davvero che sia la piu' bella delle conquiste.





IN silenzio durante il giorno, al tramonto, all'imbrunire ed all'alba, ad osservare il mutare di forme e colori, arrivando a sentirsi una piccola parte del tutto, per quanto piccola, per quanto irrilevante.

Bluetonio impoverito all'alba sul Sealy range.

E' l'alba sul Sefton, 3151 metri

Ma quanto basta per librare lo spirito piu' in alto di una spanna, prima di inspirare profondamente e ritornare colmi di vita verso valle.
E via, di nuovo in strada, o meglio, su ciglio di questa, rallentando il passo e l'avanzare all'udire il sopraggiungere di un mezzo, pollice in fuori o indice al suolo, sperando che qualcuno mi accorci il tragitto, imprecando di sovente, al vedere macchine semivuote ignorare la mia richiesta e procedere nella loro corsa, ma come biasimarli, dopotutto io, non ho mai dato un passaggio a nessuno.
Si imparano tante cose, non sono le cime che conquistiamo, ma noi stessi.
Qualcuno si ferma,salto su e mi ritrovo a raccontare di me e della mia storia, 1, 2 ,3 10 volte, pensando a quanta strada ho macinato in questi due anni, risparmiandone i dettagli e dicendo quel tanto che basta per leggere o sentire lo stupore di chi volta per volta mi stava ad ascoltare.
E fra l'innumerevole sfilza di domande, mi ritrovavo una volta di piu' a viaggiare nei ricordi, risentendo nella mia mente dopo oltre 20 anni quella canzone che profuma d'infanzia e di innocenza, quella che ti lasciava bambino sognante a bocca aperta e che ora mette malinconia, quella delle scarpine chicco, "devi farne di strada bimbo, se vuoi scoprire come e' fatto il mondo" .
Cosa volete che vi dica, io non sono di certo piu' un bimbo, ma continuo a far strada e cerco di scorire un passo alla volta come vanno le cose attraverso i mondi che cammino.
Del futuro non so, ad oggi il mio coincide col presente, e d'altronde non so neanche dove ' saro' stasera, se qualcuno mi dara' uno strappo per una manciata di chilometri o se me la faro' a piedi fino all'imbrunire, dove mettero' la tenda, come passero' la notte e quel che succedera'.


Non so e non mi interessa dacche' lo scopriro' a breve.
L'unica e la mia piu' grande preoccupazione in questo momento, se volete, e' il tempo, che spero tanto voglia essere clemente e possa domani deliziare i miei occhi una volta di piu', carezzandomi il cuore con un altro albeggio straordinario, che possa irradiare luce nuova sul frutteto della mia grande anima.
Everyday Nirvana.
In pace.




































IL mount Cook all'imbrunire,con i suoi 3754 metri la piu' alta cima dell'Australasia, ispira pace e serenita'.
Eppure in una sola settimana in due vi han trovato la morte, cercando di giungere in vetta.
Non essendo particolarmente alta, deve pero' essere di difficolta' tecnica notevole, dacche' pagan dazio almeno 4 vite l'anno. E d'altronde e' stata "palestra" naturale per Edmund Hillary, il neozelandese piu' forte di tutti i tempi, il primo uomo a posare piede sulla cima del monte Everest, il 29 maggio 1953.


Aspettando per ore che la marea si abbassi prima di procedere





















Mix cristiano-maori